Perché è importante personalizzare il piano welfare per i dipendenti?
Qual è l’impatto a livello sociale e territoriale del welfare aziendale?
Trovi tutte le risposte in questa intervista all’Ing Ernesto De Petra su Radio Canale Italia, durante la trasmissione Story Time.
Buona Visione!!!
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Ernesto De Petra
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http://www.ernestodepetra.it/wp-content/uploads/2021/02/Screenshot-2021-02-11-at-09.39.08.png00Ernesto De Petrahttp://www.ernestodepetra.it/wp-content/uploads/2021/02/Screenshot-2021-02-11-at-09.39.08.pngErnesto De Petra2022-03-07 16:57:012022-03-07 16:57:02Intervista Radio Canale Italia - Story Time
Siamo alle
porte di agosto e l’estate è sinonimo di vacanze, difatti i lavoratori italiani
solitamente concentrano la maggior parte dei giorni che hanno a disposizione di
ferie in questo periodo dell’anno, vuoi perché il mercato si ferma e le aziende
chiudono, vuoi perché in Italia l’estate, il caldo e le località turistiche
fanno proprio sentire il bisogno di staccare e rilassarsi dopo un anno di
impegno e lavoro.
Un’ indagine
condotta da Euler Hermes in collaborazione con Format Research stima che
più del 70% degli italiani andrà in vacanza quest’estate, nonostante la crisi
(c’è stato comunque un calo di quasi il 10% rispetto al 2019) e che spenderanno
mediamente 1400€ a famiglia coloro resteranno in Italia, fino a 1700€ coloro
che sceglieranno destinazioni estere. Queste cifre rappresentano un peso
economico sulle spalle della maggior parte delle famiglie italiane. E se ti
dicessi che un dipendente potrebbe approfittare del welfare aziendale per
abbattere il costo delle vacanze?
Come? È piuttosto semplice!
Ci sono due vie:
convertendo il premio di produzione in servizi di welfare aziendale (il che
darebbe maggior potere d’acquisto al lavoratore, essendo quest’ultimo
esentasse) o usufruendo del welfare stesso quando previsto dalla propria
azienda.
Nei piani welfare
ben strutturati solitamente sono i dipendenti stessi a scegliere come
vorrebbero spendere il proprio budget welfare e tra i vari servizi attivabili
ci sono appunto tutti quelli legati al tempo libero: vacanze, terme, eventi
culturali ecc. ecc.
Coloro che
scelgono di utilizzare il budget welfare per le vacanze solitamente hanno anche
la possibilità di potersi rivolgere al tour operator più comodo e vicino
tramite convenzioni che lo stesso provider di welfare aziendale fa con le
attività locali richieste dai dipendenti.
Il
dipendente potrà scegliere sia di spendere l’intero budget messogli a
disposizione dal datore di lavoro che soltanto una parte, destinando la
restante ad altri servizi, come la babysitter, la sanità integrativa,
l’assistenza ad un parente anziano etc etc.
Qualora
invece il buono vacanze fosse dato sotto forma di voucher, si ricorda che in
questo caso sarà utilizzabile entro un massimo di spesa di 516,46€ nell’anno
corrente, cifra che è stata raddoppiata in aiuto ai lavoratori in seguito alla
pandemia, ma che prima di allora si attestava ad un massimo di 258,23€ e non
sappiamo ancora se sia destinata a ritornare tale terminato lo stato di
emergenza.
A questo punto alcuni di voi si staranno chiedendo: Ci
guadagna solo il dipendente? Ovviamente no, anche dal canto suo l’imprenditore
avrà guadagnato una forte fidelizzazione del dipendente all’azienda, un
miglioramento del clima aziendale ed un aumento della produttività dovuto ad
una ritrovata condizione di benessere grazie alle vacanze, che notoriamente
aiutano le persone a ripartire a settembre con una ritrovata energia e quindi a
lavorare meglio.
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Per lavorare
bene bisogna avere la mente lucida e sgombra, questo lo sappiamo tutti.
Oggi voglio commentare con voi una notizia molto attuale riguardante un aspetto importante per la vita di ciascuno di noi e che spesso viene trascurato, vale a dire la salute mentale. Del resto, quando parliamo di salute abbiamo sempre la tendenza a pensare alla semplice cura dalle malattie ma, come dichiara la Costituzione dell’OMS, “salute è uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale”
Veniamo allo
studio, che in tutta onestà mi ha anche un po’ sorpreso per i risultati
dimostrati: secondo l’Osservatorio Reale Mutua sul welfare ben il 56% degli
italiani ritiene che potrebbe essere utile rivolgersi ad uno psicologo o
psicoterapeuta per migliorare la propria salute mentale ed in particolare
gestire meglio ansie e stress. Nel campione esaminato la percentuale sale nelle
donne (64%) e negli under 30 (65%).
Addentrandosi
nelle motivazioni emerge che il 35% degli intervistati dichiara problemi nella
gestione dell’ansia, l’11% vorrebbe modificare lati negativi del proprio
carattere, un altro 11% vorrebbe migliorare delle dinamiche legate all’ambiente
lavorativo ed un 7% vorrebbe sentirsi in grado di poter affrontare meglio
problemi legati alla salute della famiglia.
La percentuale di persone che sentono il bisogno di confrontarsi con uno specialista del benessere mentale è veramente alta e sicuramente il dato è aumentato successivamente alla pandemia che stiamo ancora cercando di superare. Già tempo fa ne parlai in un post, quando incentivai le imprese a ragionare appunto sull’importanza di offrire un supporto anche psicologico ai dipendenti nel periodo più drammatico della pandemia, vale a dire durante e subito dopo il lockdown.
A distanza di tempo è evidente quanto tale
necessità fosse realistica e dovuta a più ragioni: l’improvviso distacco dal
proprio ambiente di lavoro, la costrizione in casa, il bisogno di adattarsi
molto in fretta ad una nuova realtà, la separazione dai colleghi e da tutto ciò
che riguardava il lato sociale del proprio lavoro, la stessa paura per la
malattia e l’incognita sul proprio futuro sono tutti fattori che per forza di
cose hanno colpito, chi più chi meno, la stabilità mentale di milioni di
lavoratori italiani.
Proseguendo nell’indagine risulta inoltre che il 31% degli intervistati vorrebbe che fosse per l’appunto la propria azienda a fornire un supporto psicologico sotto forma di welfare aziendale e questo è un dato che a noi esperti del settore interessa particolarmente, perché non solo ci mostra un bisogno che dobbiamo essere pronti a soddisfare adeguatamente già oggi, ma anche un trend probabilmente destinato a salire dal momento che i giovani, più liberi da pregiudizi e obsoleti retaggi culturali, mostrano meno imbarazzo rispetto alle generazioni precedenti ad affrontare queste tematiche e chiedere aiuto.
A tal proposito, la spinta allo smart working ed a una più generale diffusione della tecnologia suggerisce inoltre l’importanza di dover offrire oggi un servizio sia dal vivo che da remoto in video seduta, questo non solo per una questione di comodità, ma anche per mettere maggiormente a proprio agio le persone che, restando all’interno del proprio ambiente domestico, riusciranno ad aprirsi in maniera ancora più spontanea con il terapista.
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https://www.ernestodepetra.it/wp-content/uploads/2021/07/pexels-cottonbro-4101143.jpg39515926Ernesto De Petrahttp://www.ernestodepetra.it/wp-content/uploads/2021/02/Screenshot-2021-02-11-at-09.39.08.pngErnesto De Petra2021-07-30 15:53:252021-07-30 15:53:27Lo psicologo nel welfare aziendale? Ecco perché è un’ottima idea!
Tutti ne parlano e tutti li desiderano, ma molti non hanno
capito le differenze tra i due: stiamo parlando dei flexible benefit e dei
fringe benefit.
Te lo stai domandando anche tu? Perfetto, sono qui apposta
per spiegartelo!
Iniziamo a spiegare cos’hanno in comune: entrambi nascono
come servizi che il datore di lavoro offre ai dipendenti al fine di migliorare
il loro benessere, sia in ambito lavorativo, che in ambito privato. I vantaggi
per i quali vale la pena per un’azienda investire in tali benefit sono
parecchi:
aumento della produttività dei dipendenti;
riduzione del turnover;
attrazione di nuovi talenti;
agevolazioni ed esenzioni fiscali;
minor assenteismo;
miglior clima lavorativo;
aumento brand reputation.
1. Cosa sono i fringe benefit?
La legge italiana definisce i fringe benefit come “compensi
in natura”, essi non possono essere pertanto sotto forma di denaro ma soltanto
sotto forma di beni e servizi e concorrono alla formazione del reddito da
lavoro dipendente quando il loro valore supera l’importo di 258,23€ nel periodo
d’imposta. È bene precisare che qualora la cifra superasse tale limite, l’intero
importo diventerebbe reddito imponibile tassato in busta paga, e non soltanto
la somma eccedente.
A tal proposito
comunichiamo che nell’ultimo Decreto Sostegni lo Stato ha deciso di raddoppiare
tale soglia esente da tassazione per tutto il 2021, portandola ad un massimo di
516,46€ (com’era stato fatto già l’anno scorso per dare sostegno ai dipendenti
durante la pandemia). Il motivo per cui lo Stato ha optato ancora per questa
via è duplice: da un lato aiutare i lavoratori, dando loro una pratica
opportunità per sfruttare i benefici del welfare aziendale in un periodo difficile,
l’altro per incentivare la spinta ai consumi in un anno in cui i più stanno
tenendo la cinghia tirata.
Quali sono i fringe benefit più comuni? L’auto aziendale ad
uso promiscuo, lo smartphone o tablet, i buoni pasto, i buoni carburanti, gli
immobili in locazione o comodato d’uso gratuito, le gift card (es Amazon) e molti
altri ancora.
Questi benefits vengono solitamente disciplinati nel contratto
individuale che l’azienda stipula con il lavoratore e la loro tassazione varia
a seconda della tipologia di benefit.
Per fare un esempio concreto ho scelto il caso delle auto
aziendali ad uso promiscuo, essendo un benefit che ha fatto molto parlare di sé
nell’ultimo anno, con l’introduzione nella legge di bilancio 2020 (L. 27
dicembre 2019, n. 160), all’art. 1, comma 632, di nuove regole antinquinamento,
volte a incentivare l’acquisto di veicoli eco friendly.
Come funziona nello specifico?
Per quanto riguarda le auto immatricolate prima del gennaio
2020 e con contratto sottoscritto dall’azienda entro luglio 2020 vale ancora la
vecchia normativa, con una tassazione pari al 30% del costo chilometrico in
base alle tabelle ACI, indistintamente dal livello di emissioni di CO2 del
mezzo.
Per quanto riguarda invece i nuovi mezzi aziendali acquisiti
in data successiva al luglio 2020, viene introdotto il calcolo delle emissioni
di anidride carbonica (CO2) ai fini della tassazione, con l’obiettivo di
penalizzare i veicoli maggiormente inquinanti e, a partire dal gennaio 2021, tali
percentuali sono state ulteriormente inasprite.
Gli scaglioni di tassazione sono attualmente i seguenti:
25% per i veicoli con valori di emissione di CO2 fino a
60g/km;
50% per i veicoli con valori di emissione di CO2 superiori a
160g/km ma non a 190g/km;
60% per i veicoli con valori di emissione di CO2 superiore a
190g/km.
2. Cosa sono i flexible benefit?
I flexible benefit sono considerati una forma di
retribuzione complementare allo stipendio del lavoratore. Questi beni e servizi
messi a disposizione dall’azienda per i dipendenti sono definiti “flessibili”
perché adattabili alle esigenze di ciascun lavoratore.
L’azienda mette a disposizione un paniere di servizi ed ogni
singolo dipendente viene dotato di un budget da poter spendere in ciò che
rispecchia di più le sue esigenze, componendo così la propria scelta
personalizzata.
Questi benefici nascono con l’intento di riuscire a
conciliare al meglio l’equilibrio vita-lavoro dei dipendenti e diffondere
benessere all’interno delle aziende. A differenza dei Fringe benefit, i
flexible benefit non concorrono a formare il reddito imponibile e sono pertanto
esenti da tassazione, eccezion fatta per i voucher (per i quali sussiste una
soglia di esenzione fino ad euro 258,23), per la previdenza complementare
(limite di esenzione pari ad Euro 5.164), e per le casse sanitarie (limite di
esenzione pari ad Euro 3.615). Questo porta un vantaggio in più sia all’azienda
che al dipendente: maggior potere d’acquisto per i dipendenti, mentre l’impresa
non dovrà corrispondere contributi previdenziali su quella porzione di reddito.
Essendo i flexible benefit una retribuzione complementare al
compenso ordinario, non possono essere offerti ad un solo lavoratore o ad un
numero ristretto come i fringe benefit, ma devono essere erogati in egual
maniera o all’intera comunità di lavoratori o suddividendoli in categorie
omogenee.
I flexible benefit, di conseguenza, non vengono stabiliti
nel contratto individuale con il singolo lavoratore, ma vengono solitamente
regolamentati tramite i contratti collettivi nazionali, le contrattazioni
sindacali o inseriti nel regolamento aziendale.
Per quanto riguarda la scelta, la lista è davvero ampia,
l’importante è saper individuare quali sono i benefit più adatti alla propria
comunità lavorativa e proporre un paniere dove tutti possano effettivamente
trovare ciò di cui hanno realmente bisogno.
Alcuni esempi tra i benefit più utilizzati?
Abbonamenti a mezzi di trasporto
Voucher e buoni acquisto, come buoni pasto o
buoni carburante
Assistenza ai famigliari anziani
Assistenza ai figli
Rimborsi alle spese scolastiche dei figli, asili
nido, campus estivi
Polizze assicurative
Abbonamenti di qualsiasi tipo, dalla palestra al
cinema
Viaggi
Mutue sanitarie
Essendo sul tema riporto anche una notizia di pochissimi
giorni fa: L’Agenzia delle Entrate, nella RISOLUZIONE n.37/E del 27.05.21 ha
dato l’OK al rimborso tramite welfare aziendale delle spese per acquisto di pc
e tablet per i figli dei dipendenti in DAD, purché forniti di documentazione
rilasciata dall’Istituto scolastico o dall’Università che attesti l’avvenuta
didattica a distanza.
Si ricorda, infatti, che i datori di lavoro possono decidere
di finanziare l’istruzione dei figli dei dipendenti in vari modi sfruttando il
welfare aziendale e, avendo il covid introdotto questa modalità forzata di
studio da casa, computer e laptop si sono resi strumenti necessari
all’istruzione e quindi l’Agenzia delle Entrate “ritiene che il rimborso
delle spese sostenute dal dipendente per il loro acquisto e successivamente
rimborsate dal datore di lavoro non genera reddito di lavoro dipendente ai
sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera f-bis), del Tuir”.
Un altro vantaggio dei flexible benefit è la possibilità di
attingervi convertendo, in tutto o in parte, il premio di risultato: in questo
caso il dipendente, anziché ricevere in busta paga la spettante cifra tassata
al 10%, potrà usufruire della cifra intera esentasse da spendere in beni e
servizi di welfare aziendale, il che significa aumentare il proprio potere
d’acquisto.
Concludendo, come avrai capito le possibilità sono davvero
tante e i benefici altrettanti, il consiglio è sempre quello di fare una scelta
mirata sui reali bisogni della tua popolazione lavorativa.
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Ernesto De Petra
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https://www.ernestodepetra.it/wp-content/uploads/2021/07/pexels-fauxels-3184405.jpg31865999Ernesto De Petrahttp://www.ernestodepetra.it/wp-content/uploads/2021/02/Screenshot-2021-02-11-at-09.39.08.pngErnesto De Petra2021-07-23 15:27:302021-07-23 15:27:32FRINGE BENEFIT E FLEXIBLE BENEFIT: QUAL'E' LA DIFFERENZA?
Smart working
è stato il termine più usato nel mondo del lavoro nell’ultimo anno, anzi oserei
dire il più ABUSATO, in quanto tutti l’hanno utilizzato per descrivere il forzato
lavoro da casa durante il lockdown, quando in verità lo smart working è una
pratica diversa e quello che abbiamo sperimentato nel corso della pandemia si
avvicina molto più ad una forma di telelavoro di massa che allo smart working
vero e proprio, seppur entrambe queste forme abbiano alcune caratteristiche
comuni…
Quindi
facciamo un attimo di chiarezza, cos’è lo smart working? cos’è il telelavoro e
quali sono le differenze tra queste due modalità lavorative?
Partiamo
dal telelavoro:
dicasi telelavoro quella modalità lavorativa dove il lavoratore ha
una postazione fissa che però si trova in un luogo diverso da quello
dell’azienda e inoltre deve rispettare gli orari di lavoro stabiliti da
contratto con l’azienda stessa. Per quanto riguarda gli strumenti tecnologici necessari
per svolgere l’attività lavorativa e rimanere connessi con l’amministrazione,
nel telelavoro sarà l’azienda a fornire tutto il necessario al telelavoro,
stesso discorso per quanto riguarda la messa sicurezza del luogo di lavoro.
Orari rigidi
e luoghi ben precisi quindi. Il telelavoro è stato studiato comunque, come lo
smartworking, con l’intenzione di migliorare l’equilibrio vita lavoro dei
dipendenti, abbattere i costi necessari agli spostamenti delle risorse umane da
casa a lavoro e poter utilizzare le risorse in maniera più flessibile, senza
necessità di grandi strutture per convogliarle tutte assieme nella stessa
location.
Note negative
per il datore di lavoro: una > difficoltà di gestione nello scambio di dati
da remoto con l’amministrazione centrale e > costi legati all’allestimento
delle postazioni di telelavoro sia dal punto di vista degli strumenti
tecnologici necessari per comunicare con l’amministrazione che dal punto di
vista della sicurezza sul lavoro.
Nota
negativa per il dipendente: si perde completamente la connotazione sociale del
lavoro, il lavoratore può sentirsi isolato dalla struttura e dai colleghi,
sentimento che si è fatto sentire sempre più pesantemente infatti tra una
grande percentuale di coloro che hanno sperimentato il lavoro da casa durante
questa pandemia, soprattutto per coloro che non sono attualmente ancora tornati
in presenza.
Ma allora, lo
smart working cos’è? Traduzione del termine italiano “lavoro agile”, esso ha in
comune con il telelavoro il fatto che il lavoratore non è fisicamente in
azienda. La differenza che rende questa metodologia migliore della precedente è
data dal fatto che qui non vi sono ne vincoli di spazio ne di orario. E’ il lavoratore a scegliere dove e quando
lavorare, ed è sempre il lavoratore solitamente a scegliere questa forma di
lavoro in maniera volontaria la quale sarà, solitamente, alternata alla normale
modalità lavorativa in presenza.
Per quanto
riguarda la sicurezza sul lavoro la responsabilità diventa mutua: da una parte
il datore di lavoro deve sempre garantire la salute e la sicurezza del
lavoratore in smartworking, il quale però dovrà collaborare ed attuare le
misure di prevenzione predisposte dall’azienda.
Chiudo
parlandovi di una recentissima risposta dell’Agenzia delle entrate proprio su
questo tema. La domanda era: Le giornate lavorate in smart working a causa
del covid, contano come giornate di lavoro dall’estero se il
dipendente ha svolto le stesse mansioni ma è stato costretto a lavorare
dall’Italia?
L’agenzia ha
stabilito che L’emergenza non comporta modifiche interpretative della normativa
sull’utilizzo delle retribuzioni convenzionali per il lavoro estero secondo la
quale a determinare la tassazione del lavoro dipendente è la presenza
fisica del lavoratore nello Stato, mentre i giorni non lavorativi si
conteggiano nello stato in cui si presta l’attività lavorativa in via
prevalente.
Il reddito
di lavoro dipendente, per esser soggetto alla retribuzione convenzionale sui lavoratori esteri fissata
dal decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, deve rispettare
i seguenti requisiti:
l’attività lavorativa deve
essere svolta all’estero in maniera continuativa;
tale attività deve costituire
l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, pertanto,
l’esecuzione della prestazione lavorativa deve essere svolta integralmente
all’estero;
il lavoratore, nell’arco di
dodici mesi, deve soggiornare nello Stato estero per un periodo superiore
a 183 giorni.
E’ prevista
inoltre la possibilità di frazionare tali somme di retribuzione convenzionale
per adeguarle alla durata effettiva del periodo di lavoro.
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https://www.ernestodepetra.it/wp-content/uploads/2021/07/pexels-samson-katt-5256145.jpg1_.jpg12.jpg17103704Ernesto De Petrahttp://www.ernestodepetra.it/wp-content/uploads/2021/02/Screenshot-2021-02-11-at-09.39.08.pngErnesto De Petra2021-07-09 05:00:252021-07-09 16:06:09Smart working o telelavoro?C’è una bella differenza!
Si sente
sempre abbinare il welfare aziendale alle realtà aziendali, ma si parla poco
della possibilità di fare welfare aziendale anche negli studi professionali,
forse per scarsa conoscenza della materia o perché lo si vede come qualcosa di
difficile attuazione, ma non è affatto così.
Anche i
dipendenti degli studi professionali possono tranquillamente beneficiare dei
numerosi servizi che il welfare aziendale mette a disposizione dei lavoratori,
a maggior ragione considerando il fatto che la maggior parte della popolazione
dipendente degli studi professionali è donna e di età inferiore ai 40 anni,
quindi è chiaro comprendere quanto un’azione mirata proprio al migliorare
l’equilibrio vita lavoro possa portare grandi benefici sia allo studio, che al
lavoratore. Ma non solo, gli studi, esattamente come le aziende, possono
puntare ad offrire anche servizi che vanno ad influire sul benessere fisico e
mentale dei dipendenti (si pensi a corsi di attività fisica o un appoggio
psicologico), possono offrire loro servizi di sanità integrativa, corsi di
formazione e tanto altro ancora.
E le
partite iva? Per le
partite Iva purtroppo le soluzioni sono ancora molto limitate, questo perché
effettivamente la normativa sul welfare aziendale fa riferimento solo ai
lavoratori dipendenti o assimilati (includendo quindi, per esempio, gli
stagisti), ma esclude i lavoratori autonomi. Però si stanno iniziando a
diffondere delle soluzioni alternative, come per esempio quella di poter
raggiungere lo stesso risultato utilizzando la norma sulle spese di
rappresentanza anziché la normativa del welfare “in senso stretto”. Tale norma,
parliamo dell’articolo 108, comma 2 Tuir, stabilisce che le spese di
rappresentanza siano interamente deducibili dal reddito di impresa nel caso in
cui un regalo non superi un valore di 50€ oppure quando l’ammontare totale
della spesa non ecceda una soglia che è proporzionata ai ricavi dell’azienda,
nello specifico:
• 1,5% dei
ricavi e altri proventi fino a €10 milioni;
• 0,6% dei
ricavi e altri proventi per la parte eccedente €10 milioni fino a €50 milioni;
• 0,4 % dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente i €50 milioni.
Questi
“escamotage” sono sintomo di un importante cambio culturale nel mondo del
lavoro e del reale bisogno mettere al centro il benessere di tutti i lavoratori
e ci si auspica presto che il legislatore intervenga ad estendere le misure del
welfare aziendale anche ai liberi professionisti ed a tutti i lavoratori
atipici.
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